venerdì 17 aprile 2020

indugiamo

Caro Giorgio,
grazie.

Riguardo le foto che mi hai scattato per il progetto #indugiamo e sorrido.
Avrei voluto tante volte essere fotografata da te e non c'è mai stata l'occasione ne lo spirito giusto.

Questa volta è stato voluto o forse è solo capitato l'attimo giusto in un turbine di attimi "sbagliati".

Eppure guardando quelle foto sono quanto di più diverso ho pensato di me in una fotografia.

Perché ho i capelli corti, bianchi e radi.
Perché sono gonfia e pallida nonostante il trucco.
Perché sono tutto fuorché bella rispetto ai miei canoni.

Eppure le guardo e sorrido.

Sono io, quella lì.

E il riflesso è più forte e incisivo di quello dello specchio del bagno che ogni giorno ignoro volutamente.

Non ho problemi a farmi vedere come sono, non ho problemi a mostrare la cicatrice da macellaio che porto a destra per l'inserimento del port (che mi trasforma in un borg di Star Trek), anzi. E' come se quella cicatrice fosse una sorta di medaglia, un'àncora, o meglio una boa che mi tiene a galla. 

In questo momento è come se volessi urlare che sono così per questo motivo.

Però non sono in grado di guardarmi negli occhi.
Di fare pace con me stessa.

Così guardo le tue foto.
Sorrido di come mostro la mia corazza di cartapesta,
sorrido per i libri che hai scelto per me
e mi chiedo se anche gli altri vedono tutto quello che vedo io dietro queste foto, che le rendono un regalo prezioso soprattutto per me: un progetto privato dentro un progetto pubblico.

Un progetto nascosto dentro uno esposto alla luce del sole che faticava uscire a Torino il giorno delle foto.

Indugio su me stessa, per curarmi, per salvarmi, ed è bellissimo.


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