mercoledì 12 febbraio 2020

I test non finiscono mai

Cari nonni, cari zii e zie,
nella luce che cala in questo pomeriggio, mi trovo a pensare a tutti voi.
Domani farò il test genetico e ho dovuto compilare la mia e la vostra storia clinica.
Ha fatto male pensare a quanti di voi non ho minimamente vissuto.
Fa male pensare a quanti di voi ho solo sfiorato.

Non mi piace pensare a me come ad un mix di geni incasinati.

Per quanto comprenda l'importanza di fare questo test, per me e per fini statistici anche per una futura ricerca e sviluppo, per quanto io sappia tutte queste cose, io non mi sento un ammasso di geni.

Mi sento un ammasso di esperienze belle e brutte.
Più belle, a dire il vero.
Mi sento un albero che affonda le radici in tutto l'amore che ha ricevuto e che lo assorbe e ne fa fotosintesi e lo libera anche per gli altri, ma non come rifiuto (per le piante l'ossigeno alla fine è questo, un rifiuto) ma come dono.

In questo momento mi sento un albero sterile.

Ma questo perché devo ancora capire in quale modo nuovo tornare a fiorire e dare frutto.

Perché io voglio tornare a fiorire.
Io voglio tornare a fiorire anche se dentro ho ancora l'inverno e non sopporto di pensare di aver avuto un periodo della mia vita con delle celluline impazzite dentro di me. Vedo le foto di quel periodo, foto in cui rido e mi do della stolta: "ma cosa ridi, come non ti accorgi cosa hai dentro?". E' altamente sciocco. E altamente umano. 

Mi rendo conto solo ora che sono davvero arrabbiata con me e non lo vedevo.
Me l'hanno detto e io non ci credevo.
E invece l'urlo dentro c'è, è lì.

Ma non sono ancora in grado di lasciarlo uscire e liberarmene.

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